I femminicidi dimenticati, quelli delle donne anziane
29-03-2025 14:22 - News
I femminicidi dimenticati, quelli delle donne anziane
"Non una di meno" storia della donna che lo disse per prima
Carol James aveva 81 anni quando è stata trovata morta nella sua casa in una cittadina a sud-est di Londra nel novembre del 2024. Il marito Brian James, anche lui di 81 anni, è stato accusato di omicidio. Rita Fleming aveva 70 anni, e della sua morte è stato accusato il suo compagno che ha negato le accuse. Delia Haxworth invece di anni ne aveva 85: il marito di 87 anni è stato accusato di averla uccisa. Carol Matthews, una donna disabile di 73 anni, è stata uccisa a marzo dello scorso anno: il marito e caregiver Peter Matthews ha ammesso di averla uccisa per “mettere fine alle sue sofferenze”, nonostante la moglie non volesse morire ma anzi lo avesse pregato di non ucciderla. Questi sono solo alcuni esempi di femminicidi avvenuti lo scorso anno in Inghilterra, le cui vittime sono donne di oltre 70 anni. Non rappresentano un’eccezione: secondo alcune analisi, negli ultimi quindici anni nel Regno Unito almeno una donna su otto over 70 sarebbe stata vittima di femminicidio. Anche in Italia i numeri suggeriscono che il fenomeno è più diffuso di quanto si pensi: nel 2022, 46 donne uccise avevano più di 65 anni e 20 di loro sono morte per mano di un partner o ex partner. Inoltre, un report dell’Istat sulle vittime di omicidio fa emergere che per le donne il rischio di essere uccise aumenterebbe con l’età, in particolare nel contesto familiare. Nonostante ciò, sono casi che difficilmente finiscono sui quotidiani nazionali e sui media mainstream, rimanendo appena nei confini della cronaca locale. Se di violenza di genere e femminicidi sui media d’altronde si parla poco, in alcuni casi lo si fa ancora meno. Nella narrazione mediatica della violenza di genere esiste infatti il mito della “vittima perfetta”. La vittima perfetta, che merita attenzioni e compassione, è una donna giovane, bianca, di classe media, dallo stile di vita e dai comportamenti in linea con il ruolo di genere a lei assegnato, che viene aggredita, abusata ed eventualmente anche uccisa da uno sconosciuto per strada. Una tragedia imprevista e imprevedibile, per cui lei difficilmente ha colpe, se non quella di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ovviamente nessuna donna che ha subito violenza rientra nell’identikit della vittima perfetta, ma piuttosto si va sempre alla ricerca di motivazioni e colpe che possano renderla in qualche modo responsabile della violenza subita. Nel caso però di chi effettivamente si distacca nettamente da quell’immagine, la sua storia non solo non genera scalpore o indignazione, ma viene del tutto ignorata. È il caso ad esempio delle donne non bianche, delle donne trans e delle donne disabili, di coloro che quando hanno subito violenza avevano assunto droghe o erano in compagnia di una persona appena conosciuta; ed è il caso anche delle donne anziane, già relegate ai margini della nostra società, che quando subiscono violenza o sono uccise non vengono viste né riconosciute.
Secondo Joëlle Long, docente universitaria e coordinatrice presso l’Università di Torino dell’insegnamento di Violenza maschile contro le donne, infatti, “Quando un uomo anziano uccide la moglie, il fatto tende a essere raccontato non come un femminicidio, ma come un gesto di disperazione o un atto dettato dalla malattia mentale o dalla fragilità senile. L’omicida viene spesso descritto come un uomo che ‘non ce la faceva più’, magari perché la moglie era malata o perché si sentiva solo, trasformando così un atto di violenza estrema in un dramma umano quasi inevitabile”. La conseguenza di ciò però, spiega Long, è che “questa narrazione riduce la responsabilità del carnefice e sposta l’attenzione dal problema della violenza sistemica sulle donne al concetto di sofferenza personale o familiare, quasi giustificando il gesto”. Per questa ragione, “quando una donna anziana viene uccisa, l’omicidio viene raramente collegato a dinamiche di potere e controllo che possono aver caratterizzato la relazione per decenni. Spesso si tratta di donne che hanno vissuto una vita intera in una situazione di violenza domestica, ma il loro omicidio non viene letto come il culmine di una storia di soprusi, bensì come un episodio isolato, un ‘triste epilogo’ di una relazione lunga. In questo modo, si perde completamente la dimensione strutturale del problema e si rende ancora più difficile il riconoscimento della violenza di genere all’interno della coppia anziana”.
Riconoscere la violenza di genere è di per sé già complesso, ma lo è ancora di più tra persone anziane: a causa della maggiore diffusione di stereotipi di genere e della normalizzazione della violenza contro le donne e del predominio maschile in alcuni contesti, periodi e fasce di età, così come della mancanza di strumenti, informazioni e supporto attorno, molte donne possono infatti aver trascorso anni in una relazione abusante e violenta senza aver mai denunciato o chiesto aiuto. Una volta raggiunta una certa età, poi, i rischi di subire abusi si intensificano: la violenza contro le donne anziane è infatti il frutto di un’intersezione tra genere ed età, con fattori di rischio specifici per questa fase della vita. Un’eventuale riduzione della mobilità, la paura dell’abbandono e di un futuro ignoto se si scegliesse di andare via, la presenza di una patologia e la dipendenza economica e psicologica rappresentano alcuni dei fattori che rendono le donne anziane particolarmente vulnerabili a subire violenza di genere e a restare incastrate in relazioni abusanti. “L’isolamento sociale”, dice poi la professoressa Long, “è un altro fattore chiave: con l’età avanzata, le donne perdono progressivamente la rete di supporto costituita da amici, parenti o colleghi di lavoro. Questo aumenta la vulnerabilità agli abusi, perché manca un contesto sociale che possa riconoscere la violenza e offrire supporto”.
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Il tipo di violenza più diffuso in questa fascia di età è quella psicologica, che prende la forma di comportamenti coercitivi, umilianti e tesi a svilire la persona. Per le donne malate, disabili o con ridotta mobilità e i cui familiari o i partner sono i principali caregiver, gli abusi psicologici possono manifestarsi anche attraverso il rifiuto delle cure, della mancanza di assistenza e supporto e della minaccia di abbandono. Anche la violenza economica è molto comune tra le coppie più anziane: come spiega la professoressa Long, “molte donne anziane hanno vissuto gran parte della loro vita in un sistema sociale che le ha relegate a un ruolo familiare e domestico, spesso senza autonomia economica. Se non hanno una pensione propria, dipendono finanziariamente dal partner o dai figli, rendendo difficile la possibilità di lasciare una relazione violenta”. Per prevenire la violenza di genere e i femminicidi di donne anziane, è allora necessario un intervento sistemico, che riconosca i fattori di rischio specifici per questa fascia di età. La formazione del personale sociosanitario che entra in contatto con le persone anziane, l’ideazione e il supporto di spazi e programmi che abbiano come obiettivo l’accoglienza delle donne anziane vittime di violenza, e la creazione di campagne di prevenzione e sensibilizzazione sulla violenza di genere contro le donne anziane sono alcune delle proposte più discusse quando si parla di questo tema. Al tempo stesso, è necessario supportare le donne a livello pratico, dare loro la possibilità di lasciare la propria abitazione quando necessario, di avere un supporto economico che le renda libere dall’uomo violento, e creare attorno alla donna una rete di supporto stabile e duratura, su cui poter fare affidamento sempre e soprattutto nel momento del bisogno.
Quando una donna anziana viene uccisa, l’omicidio viene raramente collegato a dinamiche di potere e controllo che possono aver caratterizzato la relazione per decenni. Spesso si tratta di donne che hanno vissuto una vita intera in una situazione di violenza domestica, ma il loro omicidio non viene letto come il culmine di una storia di soprusi, bensì come un episodio isolato, un ‘triste epilogo’ di una relazione lunga.
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Carol James aveva 81 anni quando è stata trovata morta nella sua casa in una cittadina a sud-est di Londra nel novembre del 2024. Il marito Brian James, anche lui di 81 anni, è stato accusato di omicidio. Rita Fleming aveva 70 anni, e della sua morte è stato accusato il suo compagno che ha negato le accuse. Delia Haxworth invece di anni ne aveva 85: il marito di 87 anni è stato accusato di averla uccisa. Carol Matthews, una donna disabile di 73 anni, è stata uccisa a marzo dello scorso anno: il marito e caregiver Peter Matthews ha ammesso di averla uccisa per “mettere fine alle sue sofferenze”, nonostante la moglie non volesse morire ma anzi lo avesse pregato di non ucciderla. Questi sono solo alcuni esempi di femminicidi avvenuti lo scorso anno in Inghilterra, le cui vittime sono donne di oltre 70 anni. Non rappresentano un’eccezione: secondo alcune analisi, negli ultimi quindici anni nel Regno Unito almeno una donna su otto over 70 sarebbe stata vittima di femminicidio. Anche in Italia i numeri suggeriscono che il fenomeno è più diffuso di quanto si pensi: nel 2022, 46 donne uccise avevano più di 65 anni e 20 di loro sono morte per mano di un partner o ex partner. Inoltre, un report dell’Istat sulle vittime di omicidio fa emergere che per le donne il rischio di essere uccise aumenterebbe con l’età, in particolare nel contesto familiare. Nonostante ciò, sono casi che difficilmente finiscono sui quotidiani nazionali e sui media mainstream, rimanendo appena nei confini della cronaca locale. Se di violenza di genere e femminicidi sui media d’altronde si parla poco, in alcuni casi lo si fa ancora meno. Nella narrazione mediatica della violenza di genere esiste infatti il mito della “vittima perfetta”. La vittima perfetta, che merita attenzioni e compassione, è una donna giovane, bianca, di classe media, dallo stile di vita e dai comportamenti in linea con il ruolo di genere a lei assegnato, che viene aggredita, abusata ed eventualmente anche uccisa da uno sconosciuto per strada. Una tragedia imprevista e imprevedibile, per cui lei difficilmente ha colpe, se non quella di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ovviamente nessuna donna che ha subito violenza rientra nell’identikit della vittima perfetta, ma piuttosto si va sempre alla ricerca di motivazioni e colpe che possano renderla in qualche modo responsabile della violenza subita. Nel caso però di chi effettivamente si distacca nettamente da quell’immagine, la sua storia non solo non genera scalpore o indignazione, ma viene del tutto ignorata. È il caso ad esempio delle donne non bianche, delle donne trans e delle donne disabili, di coloro che quando hanno subito violenza avevano assunto droghe o erano in compagnia di una persona appena conosciuta; ed è il caso anche delle donne anziane, già relegate ai margini della nostra società, che quando subiscono violenza o sono uccise non vengono viste né riconosciute.
Secondo Joëlle Long, docente universitaria e coordinatrice presso l’Università di Torino dell’insegnamento di Violenza maschile contro le donne, infatti, “Quando un uomo anziano uccide la moglie, il fatto tende a essere raccontato non come un femminicidio, ma come un gesto di disperazione o un atto dettato dalla malattia mentale o dalla fragilità senile. L’omicida viene spesso descritto come un uomo che ‘non ce la faceva più’, magari perché la moglie era malata o perché si sentiva solo, trasformando così un atto di violenza estrema in un dramma umano quasi inevitabile”. La conseguenza di ciò però, spiega Long, è che “questa narrazione riduce la responsabilità del carnefice e sposta l’attenzione dal problema della violenza sistemica sulle donne al concetto di sofferenza personale o familiare, quasi giustificando il gesto”. Per questa ragione, “quando una donna anziana viene uccisa, l’omicidio viene raramente collegato a dinamiche di potere e controllo che possono aver caratterizzato la relazione per decenni. Spesso si tratta di donne che hanno vissuto una vita intera in una situazione di violenza domestica, ma il loro omicidio non viene letto come il culmine di una storia di soprusi, bensì come un episodio isolato, un ‘triste epilogo’ di una relazione lunga. In questo modo, si perde completamente la dimensione strutturale del problema e si rende ancora più difficile il riconoscimento della violenza di genere all’interno della coppia anziana”.
Riconoscere la violenza di genere è di per sé già complesso, ma lo è ancora di più tra persone anziane: a causa della maggiore diffusione di stereotipi di genere e della normalizzazione della violenza contro le donne e del predominio maschile in alcuni contesti, periodi e fasce di età, così come della mancanza di strumenti, informazioni e supporto attorno, molte donne possono infatti aver trascorso anni in una relazione abusante e violenta senza aver mai denunciato o chiesto aiuto. Una volta raggiunta una certa età, poi, i rischi di subire abusi si intensificano: la violenza contro le donne anziane è infatti il frutto di un’intersezione tra genere ed età, con fattori di rischio specifici per questa fase della vita. Un’eventuale riduzione della mobilità, la paura dell’abbandono e di un futuro ignoto se si scegliesse di andare via, la presenza di una patologia e la dipendenza economica e psicologica rappresentano alcuni dei fattori che rendono le donne anziane particolarmente vulnerabili a subire violenza di genere e a restare incastrate in relazioni abusanti. “L’isolamento sociale”, dice poi la professoressa Long, “è un altro fattore chiave: con l’età avanzata, le donne perdono progressivamente la rete di supporto costituita da amici, parenti o colleghi di lavoro. Questo aumenta la vulnerabilità agli abusi, perché manca un contesto sociale che possa riconoscere la violenza e offrire supporto”.
Di più da Marie ClairePantaloni a fiori per l'estate 2024
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Il tipo di violenza più diffuso in questa fascia di età è quella psicologica, che prende la forma di comportamenti coercitivi, umilianti e tesi a svilire la persona. Per le donne malate, disabili o con ridotta mobilità e i cui familiari o i partner sono i principali caregiver, gli abusi psicologici possono manifestarsi anche attraverso il rifiuto delle cure, della mancanza di assistenza e supporto e della minaccia di abbandono. Anche la violenza economica è molto comune tra le coppie più anziane: come spiega la professoressa Long, “molte donne anziane hanno vissuto gran parte della loro vita in un sistema sociale che le ha relegate a un ruolo familiare e domestico, spesso senza autonomia economica. Se non hanno una pensione propria, dipendono finanziariamente dal partner o dai figli, rendendo difficile la possibilità di lasciare una relazione violenta”. Per prevenire la violenza di genere e i femminicidi di donne anziane, è allora necessario un intervento sistemico, che riconosca i fattori di rischio specifici per questa fascia di età. La formazione del personale sociosanitario che entra in contatto con le persone anziane, l’ideazione e il supporto di spazi e programmi che abbiano come obiettivo l’accoglienza delle donne anziane vittime di violenza, e la creazione di campagne di prevenzione e sensibilizzazione sulla violenza di genere contro le donne anziane sono alcune delle proposte più discusse quando si parla di questo tema. Al tempo stesso, è necessario supportare le donne a livello pratico, dare loro la possibilità di lasciare la propria abitazione quando necessario, di avere un supporto economico che le renda libere dall’uomo violento, e creare attorno alla donna una rete di supporto stabile e duratura, su cui poter fare affidamento sempre e soprattutto nel momento del bisogno.