La spiritualità nel Servizio Sociale in ambito psichiatrico
12-04-2025 14:40 -
Alessia Brunetto | 18 Marzo 2025 Introduzione
Negli ultimi decenni, il concetto di spiritualità ha suscitato crescente interesse all’interno della letteratura internazionale e nelle pratiche del servizio sociale, inserendosi nei dibattiti sull’approccio olistico che caratterizza la professione1. L’articolo riporta i risultati di una ricerca, svolta in seiCentri di Salute mentale afferenti all’Asl-Città di Torino, che indaga il ruolo della cura spirituale nella relazione professionale di aiuto, proposta come chiave interpretativa per comprendere i vissuti interiori e migliorare la qualità degli interventi e del benessere lavorativo. La ricerca si è articolata in due fasi. Da un lato, si sono indagate motivazioni, credenze e valori delle assistenti sociali, includendo la loro proiezione sulla co-costruzione dei processi di significazione della malattia. Dall’altro lato, sono state esplorate le fonti di speranza e le strategie di coping spirituale adottate dalle professioniste per non venire ridotte a burocrate tecnocrate.
L’integrazione della cura spirituale nel Servizio Sociale Molte persone nei Servizi Sociali in ambito psichiatrico affrontano sofferenze che vanno oltre i termini materiali o psicologici, coinvolgendo anche dimensioni esistenziali e identitarie che generano bisogni complessi. Quello della spiritualità è un costrutto multidimensionale che include aspetti cognitivi, emotivi ed esperienziali che si manifestano attraverso valori, credenze e pratiche orientate al benessere e alla costruzione di senso2. Esso richiama un insieme di strumenti del Servizio Sociale, come il senso di empatia o di interconnessione con sé, gli altri e il mondo, e di pratiche di responsabilità individuale e collettiva che danno senso all’esperienza umana e professionale. La dimensione spirituale si integra facilmente con l’approccio olistico di Servizio Sociale, che la considera come un elemento integrante della relazione con la persona poiché supporta i processi di empowerment e autodeterminazione3. Alcuni studiosi la contrappongono alle visioni oggettiviste della biomedicina, suggerendo come le strategie spirituali di significazione, legate a pratiche quali la produzione artistica, la narrazione o il contatto con la natura, possano favorire maggiore consapevolezza nell’esperienza di sofferenza4. Anche l’International Federation of Social Workers (IFSW) e il Nuovo Codice Deontologico (art.8) riconoscono tale aspetto come una risorsa nella costruzione della propria identità e di relazioni significative, attraverso strumenti quali l’autoconsapevolezza e l’auto-accettazione. L’innovazione metodologica consiste nel riconoscimento della dimensione relazionale che passa dalla valorizzazione dell’esperienza umana della cura spirituale. Quest’ultima può arricchire l’intervento sociale tramite strumenti volti a rafforzare le risorse individuali e comunitarie, già presenti tra quelli professionali, come l’ascolto attento, il dialogo, la narrazione biografica, l’atteggiamento non giudicante e la valorizzazione delle reti di supporto, tra cui gruppi religiosi o laici che offrono sostegno emotivo. Integrare tali strumenti nella relazione di aiuto non significa promuovere un approccio confessionale o imporre il proprio background valoriale, ma riconoscere e valorizzare il ruolo che può avere nel favorire il benessere e il cambiamento5. Metodologia di ricerca
La ricerca si è articolata intorno a due interrogativi:
In quale misura le assistenti sociali, con propri valori e dilemmi etici, interagiscono con la dimensione spirituale propria e delle persone nei CSM? 2. Qual è l’interazione tra credenze spirituali, relazione di aiuto e benessere delle professioniste?
La volontà di dar voce alle professioniste dentro il tessuto organizzativo costituisce la ragione etico-politica della ricerca, svolta nel contesto del tirocinio intra-curriculare del Corso di laurea magistrale in Politiche e Servizi Sociali. Tale vocazione si è tradotta nel tentativo di raffigurare valori, credenze e pratiche spirituali, spesso trascurate o rese invisibili dalla mancanza di risorse legata alla gestione neoliberale dei servizi. Le testimoni, da oggetti della ricerca sono state considerate soggettività attive nell’esplorare il potenziale delle proprie storie. Al fine di rispettarne le specificità e di favorire l’interazione nel contesto empirico, la scelta metodologica è ricaduta su un campione ristretto non rappresentativo di dieci assistenti sociali dei CSM suddivise per: (1) livello organizzativo; (2) settore di competenza; (3) età; (4) anni di servizio; (5) titolo di istruzione. Per quanto concerne gli strumenti metodologici, è stata prevista la triangolazione di tecniche qualitative (osservazione partecipante, focus group e interviste semi-strutturate) con il ricorso al metodo narrativo, che ha permesso di collegare il carattere soggettivo dell’esperienza della malattia alle pratiche cliniche oggettive evidence-based. La scelta del contesto empirico è stata guidata dalla necessità di studiare il fenomeno alla presenza di assistenti sociali operanti in équipe multidisciplinari (requisito primario), che seguissero in maniera continuativa persone meno soggette a crisi acute (requisito secondario). La loro prolungata familiarità e la stabilità delle relazioni di aiuto avevano il fine di favorire l’espressione e l’analisi dei bisogni spirituali. La selezione dei sei CSM si è rivelata funzionale per la raccolta di una varietà di profili e punti di punti di vista specifici, essendo servizi nati con la vocazione di garantire continuità assistenziale e vicinanza istituzionale alle persone. In parallelo, la redazione di note etnografiche ha accompagnato la ricostruzione quotidiana delle esperienze e facilitato l’organizzazione del materiale raccolto. L’alternanza di ruoli osservativi ha consentito di modulare l’intensità della partecipazione, favorendo un posizionamento come insider-outsider, in equilibrio tra distanza critica e coinvolgimento. Tale approccio è stato modulato secondo i principi della context sensibility, caratterizzata dalla formulazione di interrogativi personalizzati e dal progressivo adattamento degli stessi al contesto empirico6. Tra gli strumenti creativi si è fatto ricorso alla produzione narrativo-visiva delle spiritual life maps.
Risultati e analisi: tra benefici e strategie operative I risultati evidenziano come l’integrazione della cura spirituale possa rappresentare un fattore di supporto per le assistenti sociali nella gestione del burnout, nell’elaborazione delle difficoltà emotivo-relazionali e nella costruzione di significato dei dilemmi etici7. Le testimoni che sostengono di integrare la dimensione spirituale nella pratica professionale riferiscono di ricorrere a strumenti come l’ascolto attivo, il dialogo e la narrazione biografica, finalizzati alla creazione di spazi sicuri e alla co-costruzione di significati. Inoltre, ritengono utile ricorrere a pratiche riflessive come la meditazione per favorire il benessere emotivo e mentale. Si è constatato che l’integrazione della spiritualità nel Servizio Sociale genera effetti trasversali, tra cui favorire una maggiore consapevolezza di sé e dell’altro e contribuire alla costruzione di un ambiente collaborativo8. Pur emergendo quale rilevante, la considerazione di tale aspetto risulta essere circoscritta alle relazioni di lunga durata. Per quanto riguarda il lavoro con persone con background migratorio, invece, si è osservata una maggiore rilevazione del dato spirituale, presumibilmente a causa delle differenze culturali ritenute significative. L’osservazione di pratiche creative e personalizzate, radicate nelle biografie individuali, conferma l’esistenza di “confini porosi” tra dimensione spirituale e secolare9: i profili spirituali riscontrati spaziano da forme tradizionali di religiosità a credenze ibride.
Poiché la spiritualità si configura come un sistema di relazioni che abbraccia la dimensione intrapersonale, interpersonale e il contesto10, l’analisi dei risultati si sviluppa su tre livelli distinti: individuale, relazionale e organizzativo. Sul piano individuale, si è constatata una tendenza a delegare la cura spirituale ad altri operatori, il che potrebbe riflettere una comprensione circoscritta del proprio ruolo professionale. A livello relazionale, è stata riscontrata una dicotomia nella percezione del lavoro in équipe. Da un lato, i benefici derivanti dagli scambi informali e dal sostegno reciproco sono percepiti come forme positive di interconnessione sul luogo di lavoro. Dall’altro lato, il deficit di valorizzazione professionale, che si esplica nel “timore di giudizi svalutanti da parte dei colleghi medici”, si aggiunge agli oneri emotivi derivanti dalle relazioni di aiuto.A livello organizzativo, si è riscontrato come la gestione neoliberale dei servizi e la mancanza di tempo e strumenti per la rilevazione dei bisogni complessi rischino di confinare l’intervento sociale a misure di carattere urgente, volte a soddisfare solo le esigenze primarie. Per evitare fenomeni di de-professionalizzazione, quali l’essere ridotte a burocrati tecnocrati, le testimoni hanno sostenuto di ricorrere a strategie spirituali di significazione, come il ricercare il conforto del contatto con la natura.
Nonostante i potenziali benefici, l’integrazione della spiritualità nel Servizio Sociale presenta il rischio di imporre convinzioni personali ai beneficiari dell’intervento, contravvenendo ai principi di neutralità e autodeterminazione11. Inoltre, la formazione professionale raramente include moduli specifici su questi temi, determinando un vuoto di competenze. Per rispondere a queste sfide, sarebbe utile potenziare strumenti professionali, come la supervisione e la formazione continua, al fine di consentire agli assistenti sociali di affrontare la dimensione spirituale in modo deontologicamente e metodologicamente corretto. L’emergere di bisogni complessi sottolinea due necessità: da un lato, quella di sviluppare programmi di formazione etico-spirituale che rafforzino soft skills e promuovano la cultura dell’esplorazione personale e della comprensione dell’alterità. Dall’altro lato, è necessario un maggiore riconoscimento istituzionale per garantire un’integrazione efficace nella pratica professionale. Conclusioni
La ricerca enfatizza l’importanza di affiancare alla competenza tecnica una postura che valorizzi l’essere e il saper essere, integrando le diverse dimensioni dell’agire professionale. Dai risultati emerge la potenzialità della spiritualità nell’implementare metodologie di cura che favoriscano progetti personalizzati, considerando anche i bisogni complessi nel percorso di aiuto. L’analisi suggerisce che, sebbene non priva di criticità, la spiritualità possa favorire percorsi di esplorazione e significazione del sé, oltre a migliorare il benessere individuale sul posto di lavoro e le capacità relazionali in scenari di vita complessi. In considerazione di tale potenziale, se integrata in un approccio olistico, la spiritualità può diventare un efficace strumento per l’aiuto delle persone. Tenendo conto delle complesse dinamiche politiche e sociali che caratterizzano il disagio mentale, la rilevazione del bisogno spirituale potrebbe favorire una relazione più orientata alla complementarità, mitigando la marginalizzazione dei bisogni complessi nelle istituzioni sociosanitarie.