Come cambierà il 5 per mille?
18-08-2014 10:27 - Archivio
di Gabriella Meroni
Insieme alla stabilizzazione arrivano regole diverse. Come spiega Stefano Zamagni: «È necessario ridurre la platea dei beneficiari, rivedendo anche i criteri. E poi occorre un fondo di perequazione. Che funzionerà così»
Più trasparenza, meno beneficiari, più risorse. Sono queste le principali novità, tutte positive, che accompagneranno il "nuovo" 5 per mille così come delineato dalla riforma del Terzo settore voluta dal governo Renzi.
Una legislazione che vedrà la luce entro fine anno, ma che troverà una sua anticipazione su un punto dirimente e fondamentale: nella Legge di Stabilità alla voce copertura 5 per mille la cifra salirà da 400 a 500 milioni (Renzi dixit). Una copertura più che sufficiente a garantire, dopo una serie lunghissima di scippi, che il 5 per mille sia davvero 5 per mille e non 4,1 o 4. Poco dopo le coperture arriverà, a inizio 2015 anche la stabilizzazione e le nuove regole, regole su cui il professor Stefano Zamagni lavorò a suo tempo come presidente dell´Agenzia per il Terzo settore e che rappresentano una base certa per Riforma.
«Mi fa piacere che il lavoro dell´Agenzia su questo capitolo decisivo non sia stato inutile», dice oggi Zamagni, che ricorda di aver consegnato il testo, dopo sette mesi di lavoro, all´allora governo Monti due mesi prima che la "sua" Agenzia finisse tra gli enti inutili e fosse così cancellata. Ma quali sono le principali conseguenze con cui le associazioni dovranno vedersela una volta approvata la riforma? Come cambierà il 5 per mille?
Come si declineranno i tre punti di innovazione (trasparenza, selezione dei beneficiari e aumento delle risorse) cui il Governo a fatto cenno?, Zamagni li spiega così: «Chi attinge fondi dal 5 per mille deve ricordare che si tratta di fondi pubblici, ed è obbligatorio rendicontarne l´utilizzo», argomenta, «ma non in modo solo formale, come è stato fin qui: il cambio di passo è dato dall´introduzione di un rendiconto sostanziale: si dovrà dimostrare che le spese rese possibili dal 5 per mille sono state coerenti con il fine sociale dell´ente». Se, per esempio, finora bastava produrre la ricevuta dei costi sostenuti - poniamo - per organizzare una festa di beneficenza, d´ora in poi sarà necessario anche far capire, attraverso criteri e misurazioni ancora da stabilire, che quella festa ha effettivamente contribuito alla realizzazione della mission sociale dell´associazione.
La riduzione della platea dei beneficiari ("assolutamente necessaria", secondo Zamagni), altro punto cardine del documento dell´Agenzia, deriverà poi da una revisione dei criteri di ammissibilità, oggi ridotti in pratica a uno: non avere fini di lucro. Questo, secondo il professore, «non è ammissibile, perché ha aperto le porte del 5 per mille anche a circoli tennistici o club nautici che, pur non avendo finalità di lucro, non producono alcun tipo di valore sociale ma anzi si rivolgono esclusivamente ai soci o iscritti. Per ricevere il contributo, invece, bisognerà rispondere a criteri di misurabilità dell´utilità sociale prodotta».
Quali criteri? «Bisognerà discuterne. Io qualche proposta ce l´avrei». Ma al di là delle specifiche tecniche, una barriera al dilagare dei beneficiari pare proprio che sarà introdotta, anche per evitare che i numeri degli aventi diritto lievitino ulteriormente (nel 2012 gli ammessi nell´elenco del volontariato erano oltre 34mila contro i 22mila del 2006), rendendo tra le altre cose più lenta e farraginosa la macchina dei pagamenti.
Infine, sono in arrivo novità anche sulla vexata quaestio della concentrazione dei fondi in mano a poche, grandi realtà associative, che ha portato negli ultimi anni ben l´85% delle risorse nelle casse di una decina di soggetti, sempre gli stessi, del tutto meritori ma con capacità organizzative e finanziarie incomparabilmente maggiori di altri. «Si tratta di un effetto perverso del 5 per mille che bisogna correggere», sostiene Zamagni, «e credo che la riforma Renzi affronterà il problema nei due soli modi possibili: creando un fondo di perequazione e stabilendo una soglia di contributo al di sotto della quale si ha diritto a ricevere un´integrazione proporzionale della quota. Certo magari togliendo dagli aventi diritto al 5 per mille, gli enti c, e sono tanti, che non raccolgono neppure una firma e perciò neppure un euro».
In parole semplici, si tratterebbe di far confluire il 10-15% della somma totale destinata dagli italiani in un fondo riservato (nel caso di un tetto a 500 milioni si parlerebbe di una quota variabile tra i 50 e i 75 milioni), da ridistribuire poi agli enti che hanno ricevuto meno di una certa cifra (100 euro, per esempio), in proporzione alle scelte ricevute. «Mi auguro che tutto questo si realizzi presto a livello legislativo e di decreti attuativi», conclude Stefano Zamagni, «ma una cosa lasciatemela dire: senza la creazione di un´autorità terza e indipendente che vigili sulla corretta applicazione di queste norme, sarà un lavoro inutile. Conosco bene il mondo del non profit, e so che i tempi e i modi della giustizia ordinaria non spaventano i disonesti: serve un potere agile e competente che intervenga subito dove serve, per evitare che i soliti, pochi furbi danneggino i tanti onesti».
E scommettiamo che un´idea su chi potrebbe presiedere questa autorità il professore bolognese ce l´avrebbe anche. Ma per modestia - e forse un pizzico di scaramanzia - non la dice.
(l´intervista integrale qui per i soli abbonati)
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Fonte: Vita.it