Violenza di genere: i dati sulle vittime con disabilità siano disaggregati e standardizzati
17-09-2024 14:30 - News
È stato recentemente divulgato il “Report annuale 2023” del Telefono Rosa Piemonte di Torino, un’Associazione di Volontarie che gestisce un Centro Antiviolenza e di Orientamento per i Diritti delle Donne. Apprezzabilmente nel Report sono stati raccolti anche alcuni dati disaggregati per la disabilità della vittima. Tuttavia le modalità di raccolta di tali dati presentano diverse criticità. Per questo, pur apprezzando sinceramente la buona volontà dell’Associazione, dobbiamo tornare a chiedere che i dati sulla violenza di genere, oltre che disaggregati, siano anche standardizzati.
Opera di Jiang Caiping. Un fiore ed una foglia disidratati mostrano la loro struttura nei toni del grigio e del blu.
Lo scorso 9 settembre è stato divulgato il Report annuale 2023 del Telefono Rosa Piemonte di Torino, un’Associazione di Volontarie che gestisce un Centro Antiviolenza e di Orientamento per i Diritti delle Donne. Il Report, liberamente consultabile a questo link, documenta con diversi contributi e approfondimenti tutte le attività svolte dall’Associazione nel 2023, e fornisce, tra le altre cose, anche i dati sulle donne vittime di violenza accolte nel 2023 e sugli autori delle violenze (capitolo “Monitoraggio accoglienza anno 2023”, pag. 25-40). Ce ne occupiamo in questa sede perché, apprezzabilmente, sono stati forniti anche dei dati disaggregati per la disabilità della vittima. Pertanto di seguito riproponiamo qualche dato generale, per poi fare qualche riflessione sulle scelte metodologiche effettuate.
Le donne accolte e prese carico dall’Associazione nel 2023 sono state complessivamente 749, sono invece 5.028 i contatti avuti attraverso la sezione aiuto online, le e-mail e o social network. Il 21% delle ragazze e donne accolte ha meno di 29 anni, il 23,10% è tra i 30 e i 39 anni, il 26,84% si colloca tra i 40 e i 49 anni.
Sotto il profilo della nazionalità risulta che il 74,10% delle donne accolte è italiana, il 25,90% è straniera, la maggior parte proveniente da Paesi extra Unione Europea. Questi invece i dati sul titolo di studio e l’occupazione: più del 70% del totale è in possesso di diploma, laurea o altri titoli universitari, ma solo il 33% ha una occupazione stabile. Circa il 37% delle donne contatta il Telefono Rosa in modo autonomo, il 28% lo fa su suggerimento di parenti, amici o conoscenti.
Questi invece alcuni dati sui tipi di violenza subita: 41,52% dichiara di aver subito violenza fisica, il 51,27% violenze verbali o minacce, quasi l’8% violenza sessuale, il 15,35% altre forme di violenza sessuale, quali molestie, anche online, diffusione non consensuale di materiale intimo o costrizione ad attività sessuali umilianti o degradanti. Il 12,55% è vittima di stalking o cyberstalking, l’82,38% riferisce violenza psicologica e quasi il 30% dichiara violenza economica. In moltissimi casi le donne subiscono forme multiple di violenza. Quasi il 70% delle donne accolte presenta un livello di rischio di vittimizzazione alto o altissimo. Sono 228 le donne che dichiarano che i figli hanno assistito alla violenza, mentre sono 96 quelle che riferiscono che i figli subiscono anch’essi violenza diretta.
Entrando nel merito delle vittime con disabilità, nel comunicato stampa di presentazione del Report l’Associazione dichiara che esse sono 53. Il dettaglio è fornito da una tabella pubblicata a pagina 35 del Report, dove però non è utilizzato il termine “disabilità”. Questo l’enunciato riportato: «La donna, sulla base di quanto osservato, ha una delle seguenti difficoltà», cosa che lascia intuire che non è stata la donna accolta a dichiarare la propria difficoltà (disabilità), ma l’operatrice preposta all’accoglienza a rilevarla (che però potrebbe non riuscire a rilevare disabilità non immediatamente percepibili). Questi invece i dati delle “difficoltà” riscontrate: sensoriale (cecità/ipovisione, sordità/ipoacusia) 2 donne (0,27% del campione); motoria 24 donne (3,20%); intellettiva (una nota specifica che con tale espressione intendono “un deficit delle capacità mentali di un individuo tale da compromettere l’autonomia in casa o nella comunità, la partecipazione sociale e la comunicazione”) 1 vittima (0,16%); altra difficoltà (che include: “disturbi specifici dell’apprendimento (DSA); invalidità temporanea per malattie oncologiche; invalidità permanenti o temporanea per disturbo depressivo”) 26 donne (3,47%); nessuna difficoltà 697 donne (92,93%).
Preliminarmente possiamo esprimere apprezzamento per il fatto che l’Associazione abbia voluto raccogliere i dati disaggregati anche per la “difficoltà” della vittima. Sotto un profilo metodologico tuttavia la scelta di parlare di “difficoltà” invece che di “disabilità” ha portato a conteggiare come donne con disabilità anche donne che comunemente non vengono inquadrate in quest’area: non vi rientrano, ad esempio, quelle con DSA, quelle con malattie oncologiche o con disturbi depressivi. Ciò porta a concludere che le donne con disabilità accolte e prese in carico dall’Associazione non siano 53, come dichiarato nel comunicato stampa, ma 27.
È apprezzabile anche che tra le tipologie di violenze rilevate (si veda la tabella a pagina 31) vi siano anche l’aborto forzato (subito da 7 donne, pari allo 0,93% del campione) e la sterilizzazione forzata (sebbene risultino zero casi), vale a dire due delle forme di coercizione riproduttiva a cui sono le donne con disabilità sono esposte in modo sproporzionato (se ne legga a questo link). E tuttavia la distribuzione pubblicata nel Report non consente di rilevare se le donne che hanno subito questi tipi di violenza siano con o senza disabilità.
In merito ai dati sugli autori della violenza, la tabella (pubblicata a pag. 38/39) considera le seguenti tipologie di soggetti: coniuge; ex coniuge; convivente; ex convivente; fidanzato; ex fidanzato; padre; madre; fratello/sorella; figlio; altro parente; datore di lavoro; collega; amico; conoscente; vicino di casa; amante; suocero/suocera; sconosciuto. Mancano i/le caregiver e o gli operatori/operatrici (dell’area sanitaria, socio-sanitaria, della riabilitazione, occupazionale, educativa, ecc.) e gli/le assistenti personali, gli/le badanti che sono le figure che frequentemente agiscono violenza nei confronti delle donne con disabilità. Manca anche una categoria residuale (ad es. altro) a cui eventualmente ricondurle.
In conclusione possiamo osservare che il coinvolgimento delle Associazioni rappresentative delle persone con disabilità nella predisposizione delle schede di rilevazione potrebbe aiutare e correggere le criticità riscontrate, come pure quella di prevedere che sia la stessa donna a dichiarare se le è stato o meno certificato un certo tipo di disabilità. Inoltre, ad un livello più generale sarebbe opportuno che il Comitato tecnico dell’Osservatorio sul fenomeno della violenza contro le donne e della violenza domestica fornisse delle indicazioni per effettuare una raccolta dei dati disaggregati sulla disabilità della vittima in forma standardizzata, perché solo in questo modo diventa possibile effettuare una comparazione tra i dati raccolti nei diversi contesti dai differenti soggetti della Rete antiviolenza. Non si tratta di aspetti marginali. Il Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) ha evidenziato innumerevoli volte che le donne con disabilità sono esposte al rischio di subire violenza da due a cinque volte più delle altre donne, e senza dati disaggregati non è possibile descrivere in modo adeguato il fenomeno, né fare prevenzione o programmazione dei servizi. Per questo, pur apprezzando sinceramente la buona volontà del Telefono Rosa Piemonte di Torino, dobbiamo tornare a chiedere i dati sulla violenza di genere, oltre che disaggregati, siano anche standardizzati. Se ogni soggetto della Rete antiviolenza disaggrega i dati con criteri diversi, non sarà mai possibile avere alcun quadro d’insieme di questo fenomeno, cosa che si configura come una forma di discriminazione sistemica nei confronti delle donne con disabilità. (Simona Lancioni)
Opera di Jiang Caiping. Un fiore ed una foglia disidratati mostrano la loro struttura nei toni del grigio e del blu.
Lo scorso 9 settembre è stato divulgato il Report annuale 2023 del Telefono Rosa Piemonte di Torino, un’Associazione di Volontarie che gestisce un Centro Antiviolenza e di Orientamento per i Diritti delle Donne. Il Report, liberamente consultabile a questo link, documenta con diversi contributi e approfondimenti tutte le attività svolte dall’Associazione nel 2023, e fornisce, tra le altre cose, anche i dati sulle donne vittime di violenza accolte nel 2023 e sugli autori delle violenze (capitolo “Monitoraggio accoglienza anno 2023”, pag. 25-40). Ce ne occupiamo in questa sede perché, apprezzabilmente, sono stati forniti anche dei dati disaggregati per la disabilità della vittima. Pertanto di seguito riproponiamo qualche dato generale, per poi fare qualche riflessione sulle scelte metodologiche effettuate.
Le donne accolte e prese carico dall’Associazione nel 2023 sono state complessivamente 749, sono invece 5.028 i contatti avuti attraverso la sezione aiuto online, le e-mail e o social network. Il 21% delle ragazze e donne accolte ha meno di 29 anni, il 23,10% è tra i 30 e i 39 anni, il 26,84% si colloca tra i 40 e i 49 anni.
Sotto il profilo della nazionalità risulta che il 74,10% delle donne accolte è italiana, il 25,90% è straniera, la maggior parte proveniente da Paesi extra Unione Europea. Questi invece i dati sul titolo di studio e l’occupazione: più del 70% del totale è in possesso di diploma, laurea o altri titoli universitari, ma solo il 33% ha una occupazione stabile. Circa il 37% delle donne contatta il Telefono Rosa in modo autonomo, il 28% lo fa su suggerimento di parenti, amici o conoscenti.
Questi invece alcuni dati sui tipi di violenza subita: 41,52% dichiara di aver subito violenza fisica, il 51,27% violenze verbali o minacce, quasi l’8% violenza sessuale, il 15,35% altre forme di violenza sessuale, quali molestie, anche online, diffusione non consensuale di materiale intimo o costrizione ad attività sessuali umilianti o degradanti. Il 12,55% è vittima di stalking o cyberstalking, l’82,38% riferisce violenza psicologica e quasi il 30% dichiara violenza economica. In moltissimi casi le donne subiscono forme multiple di violenza. Quasi il 70% delle donne accolte presenta un livello di rischio di vittimizzazione alto o altissimo. Sono 228 le donne che dichiarano che i figli hanno assistito alla violenza, mentre sono 96 quelle che riferiscono che i figli subiscono anch’essi violenza diretta.
Entrando nel merito delle vittime con disabilità, nel comunicato stampa di presentazione del Report l’Associazione dichiara che esse sono 53. Il dettaglio è fornito da una tabella pubblicata a pagina 35 del Report, dove però non è utilizzato il termine “disabilità”. Questo l’enunciato riportato: «La donna, sulla base di quanto osservato, ha una delle seguenti difficoltà», cosa che lascia intuire che non è stata la donna accolta a dichiarare la propria difficoltà (disabilità), ma l’operatrice preposta all’accoglienza a rilevarla (che però potrebbe non riuscire a rilevare disabilità non immediatamente percepibili). Questi invece i dati delle “difficoltà” riscontrate: sensoriale (cecità/ipovisione, sordità/ipoacusia) 2 donne (0,27% del campione); motoria 24 donne (3,20%); intellettiva (una nota specifica che con tale espressione intendono “un deficit delle capacità mentali di un individuo tale da compromettere l’autonomia in casa o nella comunità, la partecipazione sociale e la comunicazione”) 1 vittima (0,16%); altra difficoltà (che include: “disturbi specifici dell’apprendimento (DSA); invalidità temporanea per malattie oncologiche; invalidità permanenti o temporanea per disturbo depressivo”) 26 donne (3,47%); nessuna difficoltà 697 donne (92,93%).
Preliminarmente possiamo esprimere apprezzamento per il fatto che l’Associazione abbia voluto raccogliere i dati disaggregati anche per la “difficoltà” della vittima. Sotto un profilo metodologico tuttavia la scelta di parlare di “difficoltà” invece che di “disabilità” ha portato a conteggiare come donne con disabilità anche donne che comunemente non vengono inquadrate in quest’area: non vi rientrano, ad esempio, quelle con DSA, quelle con malattie oncologiche o con disturbi depressivi. Ciò porta a concludere che le donne con disabilità accolte e prese in carico dall’Associazione non siano 53, come dichiarato nel comunicato stampa, ma 27.
È apprezzabile anche che tra le tipologie di violenze rilevate (si veda la tabella a pagina 31) vi siano anche l’aborto forzato (subito da 7 donne, pari allo 0,93% del campione) e la sterilizzazione forzata (sebbene risultino zero casi), vale a dire due delle forme di coercizione riproduttiva a cui sono le donne con disabilità sono esposte in modo sproporzionato (se ne legga a questo link). E tuttavia la distribuzione pubblicata nel Report non consente di rilevare se le donne che hanno subito questi tipi di violenza siano con o senza disabilità.
In merito ai dati sugli autori della violenza, la tabella (pubblicata a pag. 38/39) considera le seguenti tipologie di soggetti: coniuge; ex coniuge; convivente; ex convivente; fidanzato; ex fidanzato; padre; madre; fratello/sorella; figlio; altro parente; datore di lavoro; collega; amico; conoscente; vicino di casa; amante; suocero/suocera; sconosciuto. Mancano i/le caregiver e o gli operatori/operatrici (dell’area sanitaria, socio-sanitaria, della riabilitazione, occupazionale, educativa, ecc.) e gli/le assistenti personali, gli/le badanti che sono le figure che frequentemente agiscono violenza nei confronti delle donne con disabilità. Manca anche una categoria residuale (ad es. altro) a cui eventualmente ricondurle.
In conclusione possiamo osservare che il coinvolgimento delle Associazioni rappresentative delle persone con disabilità nella predisposizione delle schede di rilevazione potrebbe aiutare e correggere le criticità riscontrate, come pure quella di prevedere che sia la stessa donna a dichiarare se le è stato o meno certificato un certo tipo di disabilità. Inoltre, ad un livello più generale sarebbe opportuno che il Comitato tecnico dell’Osservatorio sul fenomeno della violenza contro le donne e della violenza domestica fornisse delle indicazioni per effettuare una raccolta dei dati disaggregati sulla disabilità della vittima in forma standardizzata, perché solo in questo modo diventa possibile effettuare una comparazione tra i dati raccolti nei diversi contesti dai differenti soggetti della Rete antiviolenza. Non si tratta di aspetti marginali. Il Forum Europeo sulla Disabilità (EDF) ha evidenziato innumerevoli volte che le donne con disabilità sono esposte al rischio di subire violenza da due a cinque volte più delle altre donne, e senza dati disaggregati non è possibile descrivere in modo adeguato il fenomeno, né fare prevenzione o programmazione dei servizi. Per questo, pur apprezzando sinceramente la buona volontà del Telefono Rosa Piemonte di Torino, dobbiamo tornare a chiedere i dati sulla violenza di genere, oltre che disaggregati, siano anche standardizzati. Se ogni soggetto della Rete antiviolenza disaggrega i dati con criteri diversi, non sarà mai possibile avere alcun quadro d’insieme di questo fenomeno, cosa che si configura come una forma di discriminazione sistemica nei confronti delle donne con disabilità. (Simona Lancioni)